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Cosa resta, oggi, di quegli anni terribili, salvo macerie e cumoli di ossa? Il ricordo. Il ricordo della disperazione di mille bambini dall’infanzia rubata e delle loro lacrime, cadute dal cielo come pioggia di sangue.
Il vento gelido mi sferza il viso e scuote la leggera divisa a righe. Guardo il cielo. Mi hanno tolto i capelli, la libertà, il sorriso. Ma il mio cielo azzurro d’Olanda è sempre lì.
Poche parole allineate in un moto ondulatorio, ma chiaro – stagliate nella notte stanca come un imperativo assoluto e vero, persino giusto. Non riuscivano a non crederci, a quella verità, anche mentre strisciavano nella terra battuta.
A Dachau le statue piangono: son fatte di rame, ma piangono. Non c'è nient'altro, ora. Solo loro e due alberii, che scrutano in lontananza quel dito scheletrico della vecchia ciminiera. A Dachau le statue piangono e prima di uscire te lo ripetono, sussurrando: Mai più
totalmente autobiografica. Le statue sono un'enorme scultura di rame o bronzo -ora non ricordo- che raffigura uomini e donne scheletriche attorcigliate. Accanto c'è una lapide, con scritto mai più in molteplici lingue
Il ragazzo si passò una mano - ormai quasi scheletrica - sul volto bagnato di lacrime e sudore. Avrebbe voluto che qualcuno lo fermasse, gli dicesse: "Ehi, non piangere, starai bene, avrai una casa, avrai il cibo che ti serve e una famiglia, sarai felice...". La sua mente lo riportò alla realtà. Quella frase non era completa. "... Se uscirai da qui."
Volevo mettere un'altra cosa, ma era un piccolo pezzo di diario che scrissi a quei tempi. Ma era troppo lungo. Comunque, sì, è veramente qualcosa che ti cambia. Io, per lo meno, ho sentito come se dentro di me si fosse completamente voltata una pagina
La morte, padrona indiscussa di Auschwitz, ci coglie con braccia quasi compassionevoli. La violenza guida gli ordini degli aguzzini, mentre ci tolgono l'ultimo straccio di umanità. Il marchio però, se sopravviverò, ricorderà sempre la verità.